Il chiaroscuro delle carceri. Il percorso del detenuto dall'ingresso alla cella :: mostra virtuale

Introduzione

Il carcere è morte e resurrezione.

Lo è per chi entra da porte che noi avvocati e magistrati non siamo soliti varcare. Nelle carceri, infatti, noi veniamo ospitati nel "salotto buono" senza mai mettere piede al di là della sala colloqui.

Nasce così l’idea della Camera Penale di Milano, realizzata in collaborazione con l’Associazione nazionale Magistrati di Milano, di accompagnare il visitatore della mostra in un immaginario viaggio attraverso i luoghi e le emozioni di chi viene messo in prigione.

Un uomo, una persona varca quelle mura, attraversa quei cancelli compiendo una serie di tappe che paiono una discesa agli inferi. Entra in un mondo nascosto all’universo dei vivi fatto di tenebra e di luce artificiale.

Le immagini che qui sono esposte sono state riprese in un carcere esistente e funzionante e possono essere simbolicamente attribuite ad ogni luogo ove il rito dell’"espiazione della pena" viene quotidianamente celebrato. Le fotografie, in bianco e nero, raccontano il percorso che va dall’ingresso in istituto al momento in cui il condannato viene rinchiuso in una cella dalla quale uscirà, percorrendo a ritroso lo stesso itinerario, il giorno indicato sull’ordine di esecuzione. Mostrano i momenti di attesa su una panca in ferro, in una stanza spoglia, dietro un’inferriata; mostrano il registro sul quale il nome del condannato resterà per sempre impresso assieme alla sua immagine e alle sue impronte digitali. L’operazione prosegue con la perquisizione personale. Il condannato, spogliato e seduto su una panca malridotta dall’usura del tempo, aspetterà che il personale decida cosa potrà portare con sé oltre i can- celli che ad intervalli regolari chiudono i corridoi. Le cose, che fino a quel momento aveva addosso e che facevano parte della sua personale identità, vengono catalogate e schedate. Diventano anch’esse un numero scritto su un pacchetto per rimanere in un magazzino fino al giorno in cui egli sarà autorizzato a riprendere possesso di sé stesso, della vita, della volontà e delle cose che lo fanno persona. Corridoi senza luce lo portano in un sotterraneo dove gli sarà consegnato l’essenziale per far fronte alle minime esigenze umane: due piatti di plastica, bicchiere e posate di plastica, una saponetta e un rotolo di carta igienica. Una coperta e un lenzuolo lisi e intristiti dal continuo uso completeranno il suo corredo. Grosse chiavi aprono e chiudono cancelli, il rumore del metallo contro il metallo segna la strada che conduce verso la cella. La volta di una cupola sopra quel mondo pare rinchiudere l’idea stessa di vita e di morte, di peccato e di redenzione, come se, ancor oggi, il supplizio dell’anima e del corpo fosse l’unica via per il recupero di chi ha peccato. Un’immagine mostra il lettino di una spoglia infermeria, luogo anch’esso necessario per quella delicata chirurgia dell’anima tesa a far rinascere socialmente chi ha trasgredito alla legge penale. Prima di essere riammesso nel contesto umano, l’uomo deve stare ristretto in uno spazio limitato. La prospettiva delle celle che si affacciano su un lungo corridoio delimitato, alle due estremità, da grandi cancelli di ferro rende bene l’idea.

Infine la cella. Il Luogo ove quattro, cinque, sei, otto persone dividono tutto. L’aria, lo spazio, un cesso (per chiamarlo col suo nome) e le pareti dove esprimere il più arcaico degli istinti: "affermare la propria esistenza" attraverso un segno, una parola lasciata sull’intonaco del muro: "io sono stato qui", "io sono", "io esisto" ancor più se ho avuto il privilegio di stare una notte da solo come Dio, in attesa che l’ultima parola "Libertà" assuma nuovamente concretezza.

"Queste le emozioni che abbiamo provato nel riprendere e nel rivedere le immagini che state guardando. Emozioni che speriamo essere riusciti a trasmettere in chi si è fermato davanti a queste fotografie e che non possono che essere l’oggetto di importanti riflessioni sulla grave situazione in cui versano gli istituti di detenzione del nostro Paese e punto di partenza per una politica orientata a ridare piena dignità ai "nostri" detenuti".

Alessandro Bastianello e Tommaso Pisapia

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